venerdì 23 febbraio 2018

Non chiamateli antifascisti, sono gruppuscoli squadristi


 


LA VIOLENZA POLITICA

Non chiamateli antifascisti, sono gruppuscoli squadristi

EMANUELE MACALUSO

In questa stanca campagna elettorale si esibiscono gruppi di fascisti che hanno anche infangato la lapide che ricorda i poliziotti massacrati dalla Brigate rosse quando rapirono Aldo Moro. All’ignobilità non c’è limite. Ci sono anche fascisti che presentano liste elettorali e inneggiano al Duce. Non bisogna sottovalutare un fenomeno che si manifesta nel momento in cui è evidente la crisi della politica. Ricordiamoci che l’antifascismo, quello vero, riabilitò ed esaltò il ruolo della politica e dei partiti. E in quel clima nacque la Repubblica e fu scritta la Costituzione.


Ma quali antifascisti, chiamateli squadristi

EMANUELE MACALUSO

L’antipolitica e la demonizzazione dei partiti inevitabilmente producono tentazioni di tipo fascista. Occorre tenere sempre presente questa verità dato che la campagna contro i partiti ha visto protagonisti anche grandi quotidiani e personalità del mondo della cultura.

Tuttavia, trovo scorretto l’uso della locuzione “il fascismo dell’antifascismo” che leggiamo su quasi tutti i giornali in questi giorni. L’antifascismo viene così identificato con atti violenti di gruppuscoli che si annidano in alcuni ( non in tutti) centri sociali o nei cosiddetti collettivi, come quello di Bologna, l’Hobo, che opera nell’università e si distingue per operazioni squadristiche. Squadrismo fu l’azione compiuta all’università per impedire al Professor Angelo Panebianco, un liberale democratico e valente studioso, di tenere le sue lezioni. Oggi su La Stampa Mattia Feltri in un bel corsivo segnala altre irruzioni squadristiche di questo gruppo, fatte in una sede del Pd e al Comune di Bologna. Gli stessi avevano dato fuoco ad alcuni libri, tra cui quello di Salvini. Tutti atti squadristici. Ma se, bestemmiando, questi gruppi dicono di agire in nome dell’antifascismo è sbagliato definirli tali. Ed è un errore grave. Lo dico anche in nome dei pochi ancora in vita che lottarono contro il fascismo negli anni del fascismo e aprirono una nuova stagione politica, nel segno dell’antifascismo.

giovedì 22 febbraio 2018

Sulla Commissione antimafia, su Cesare Terranova e su Pio La Torre




UN VECCHIO ARTICOLO DI STEFANO DI MICHELE

C’erano una volta i nemici della mafia Erano garantisti Furono uccisi

Questo è un articolo scritto da Stefano Di Michele, qualche anno fa, sul Foglio. Racconta molto bene come il Pci, nel momento massimo dello scontro politico con la Dc, non usò mai come avviene adesso - l’antimafia come una clava. Lo ripubblichiamo.

STEFANO DI MICHELE

Dice Rosy Bindi che trattasi di servizio pubblico per i cittadini – “noi li abbiamo informati”, e certo grato il pensiero dell’elettore corre all’Antimafia, e forse al vigile meneghino di Totò e Peppino, “per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare? ” – e adesso gli svergognati sono così sistemati. Seduto in poltrona, Emanuele Macaluso stringe tra le mani un libretto bianco. Sbuffa, s’indigna, sfoglia qualche pagina. “Io non me la piglio con i giornali, nemmeno col Fatto, fanno il loro mestiere. Poi il popolo sceglie… ”. Ma la commissione, ecco, la commissione… Il libro che Macaluso sta ( ri) leggendo lo ha scritto molti annifa un grande predecessore della Bindi, il comunista Gerardo Chiaromonte. Si intitola “ I miei anni all’Antimafia, 1988- 1992”,

prefazione di Giorgio Napolitano. E dalle pagine di quelle antiche memorie, saltano fuori un paio di faccende piuttosto istruttive, proprio rispetto alla scelta che si è compiuta in queste ore.

Ma prima un’altra storia – che la storia di oggi evoca. Prima di Chiaromonte, anni Settanta. Quando il tribunale di Torino chiese all’Antimafia le schede su Giovanni Gioia, potente democristiano siciliano, ministro fanfaniano. A opporsi, a negare con forza quelle schede con la sua relazione, fu il membro della commissione Cesare Terranova ( magistrato, deputato indipendente eletto nelle liste del Pci, ammazzato dalla mafia insieme al maresciallo Mancuso appena tornato in magistratura, nel 1979). I giudici si rivolsero alla Corte costituzionale, la quale diede loro torto.

Ma torniamo al libro di Chiaromonte. C’è scritto: “La prima grana che mi trovai ad affrontare fu quella della pubblicazione o meno delle schede nominative…”. Cos’erano queste schede nominative lo spiega adesso il suo amico Macaluso: “La commissione esiste dal ’ 63. Nei decenni si sono ammucchiati rapporti, relazioni di marescialli, di poliziotti, pure e semplici delazioni e lettere anonime… Tutti rapporti senza contraddittorio”. Cominciò la solita campagna di stampa, al grido: “La santabarbara deve esplodere! ”, ( soprattutto da parte di Michele Pantaleone, sulle colonne della Stampa) . Annotava Chiaromonte: “Anche nel mio partito l’opinione assolutamente prevalente fu quella della pubblicazione. Solo Emanuele Macaluso, vecchio conoscitore della Sicilia e della mafia, scrisse alcuni articoli a difesa dei diritti elementari di tutti i cittadini”. Ricorda Macaluso: “La piaga giustizialista non nasce nel ’ 92, ma prima. La verità è che si era aperta nel Pci una battaglia. Alcuni insinuavano che io facessi quella campagna contro la pubblicazione perché c’era qualche scheda che mi riguardava…”. Chiaromonte era contrario, i partiti in commissione favorevoli – da Violante a Vitalone, “e a questa cosa si piegò pure il mio amico Giacomo Mancini”. Chiaromonte dovette cedere, “lo criticai, gli dissi: avresti dovuto dimetterti”, così le schede furono pubblicate. Ma nessuna santabarbara saltò: molte velenose insinuazioni, invece, persino su personaggi come Li Causi e La Torre, addirittura sullo stesso Pantaleone.

“In una vecchia scheda un ufficiale dei carabinieri avanzava il sospetto che fosse figlio di Calogero Vizzini, il capomafia. Pantaleone quasi impazzì. Lo trovai un giorno davanti alla Camera che distribuiva volantini per smentire la cosa. Gli dissi: adesso che cavolo vuoi, hai cominciato tu! ”.

Sorride, al ricordo, Macaluso: “L’unico su cui non c’era mezza insinuazione in quelle schede ero io, proprio io che ero stato pubblicamente indicato come quello che più le temeva”. E che c’entra la Bindi? E’ un’altra cosa. Macaluso scuote la testa, sfoglia le pagine. “Ecco, ecco…”. E’ la relazione di minoranza dell’Antimafia del 1976. Porta le firme di Cesare Terranova e di Pio La Torre ( deputato comunista, segretario regionale del Pci, ucciso dalla mafia insieme al suo autista nel 1982, tre anni dopo Terranova). E questo scriveva La Torre, in quella relazione di quarant’anni fa: “Noi il discorso sulla ‘ santabarbara’ dell’attuale inchiesta, che avrebbe dovuto far saltare per aria mezzo Parlamento, non l’abbiamo mai condiviso (…). Il nostro compito non è questo. E’ invece quello di fornire al governo e al Parlamento uno spaccato della situazione, una serie precisa di indicazioni per realizzare le riforme economiche, sociali e politiche in senso non mafioso”. E aggiungeva il deputato del Pci considerazioni illuminanti pure per i nostri giorni: “Siamo contrari all’equivoco che si è ingenerato: che cioè la commissione parlamentare fosse una specie di ‘ giustiziere del Re’, una sorta di comitato di salute pubblica destinato a far cadere testa su testa”. Così parlò, un nemico vero e vittima reale della mafia. “Terranova e La Torre – rievoca Macaluso – gente che ha lasciato la vita nella battaglia contro la mafia. E lo stesso sapevano definire i compiti della commissione, dicevano che non spettava a essa far cadere testa su testa. Adesso, non si sta procedendo forse testa su testa? I giornali lo possono fare, ma se sei un’istituzione dello stato, come puoi farlo? Non hanno forse rifatto loro le schede, andando a raccattare cose dai casellari giudiziari? ”. Tre uomini di sinistra – Chiaromonte, Terranova e La Torre – che combatterono davvero la mafia. Due fino a morirne ammazzati. Ma senza mai permettere che una tragedia si mutasse in spettacolo.

ERANO COMUNISTI MA NON GIUSTIZIERI. LA TORRE E TERRANOVA CI LASCIARONO LA PELLE. CHIAROMONTE E MACALUSO ERANO CON LORO. CONSIDERAVANO L’ANTIMAFIA UNA COSA SERIA, NON UNA CLAVA


    sabato 2 dicembre 2017

«Ho inventato la storia della finta cintura... Ecco come nascono le fake news»
PARLA LO PSICHIATRA CLAUDIO CIARAVOLO

FRANCO INSARDÀ
Le fake news per lui sono il pane quotidiano. Le pensa, le realizza, le diffonde e poi le smentisce. Si definisce psichiatra di nascita e napoletano di professione Claudio Ciaravolo è diventato famoso con la “bufala” delle magliette con la cintura di sicurezza vendute a Napoli e dice: «Ancora oggi molti pensano che la notizia sia vera». «Con internet più che di fake news parlerei di fake scoop, perché la balla più è grande e più si diffonde in maniera virale sui social», aggiunge.

PARLA CLAUDIO CIARAVOLO CHE SI DEFINISCE PSICHIATRA DI NASCITA E NAPOLETANO DI PROFESSIONE


«Mio nonno inventò l’aria io la finta cintura... Vi racconto la vera storia delle fake news
FRANCO INSARDÀ

«Vi ricordate le magliette con la cintura di sicurezza stampata sopra vendute a Napoli? Era il 1989 e, a distanza di 28 anni, molti sono ancora convinti che sulle bancarelle di Forcella e della Sanità se ne fossero vendute migliaia. Ebbene, di quelle magliette ne furono prodotte 100, tutte rigorosamente numerate come delle opere d’arte, che oggi sono in bella mostra in molti musei di arte contemporanea. Quello fu un esperimento, uno dei primi esempi di come una fake- news potesse fare il giro del mondo e rimanere impressa nell’immaginario collettivo per sempre». Il creatore di quelle magliette è Claudio Ciaravolo, 65enne psichiatra napoletano che ha iniziato a ideare, realizzare, diffondere fake news e loro derivati e a studiarne gli effetti e le reazioni sulle persone anche a distanza di tempo. Si definisce psichiatra di nascita e napoletano di professione, di religione catodica, creativo a tempo pieno, lavora poco e si diverte molto, viaggia tanto e naviga anche di più. Come psichiatra nel 1977 ha cominciato a utilizzare i messaggi subliminali con i suoi pazienti. Viene per questo considerato l’inventore della terapia subliminale. È stato autore radiofonico e televisivo di tanti programmi di successo. È stato un antesignano di internet con tantissimi siti registrati (www.magliettadisicurezza.it, www. ariadinapoli.it, www. maruzzella.it, www.s- mail.it, www.souvenair.it) Oggi, vista la sua esperienza nel settore, si definisce “legend buster”. Il suo motto è: “Escogito ergo sum”.
Dottor Ciaravolo, come nasce questa sua vocazione?
Da lontano. Tenga presente che ho avuto un illustre precursore, mio nonno Gennaro. Nell’immediato dopoguerra si inventò un prodotto sorprendente. Virtuale che più non si poteva, in un momento in cui le merci reali - a cominciare dal cibo - scarseggiavano: l’aria di Napoli. Le sue invenzioni in realtà furono due: oltre a inventare l’aria di Napoli, il nonno si inventò di averla venduta agli americani, che venivano considerati poco svegli, ma avevano i dollari, ed erano pronti a comprare qualsiasi cosa che potesse ricordare loro Napoli. Mio nonno raccontava che aveva accumulato le sue ricchezza in questo modo, ma non era vero ( viveva di rendita, non di vendita) e la gente ci credeva. E forse in tanti sarebbero stati pronti a comprarsela l’aria di Napoli, se davvero nonno Gennaro l’avesse messa in vendita.

Con questo avo così fantasioso, creatore antesignano di fake news, il passo è stato facile per lei.
Ero un brillante studente di medicina prima e di psichiatria poi e avevo come obiettivo quello di lavorare il meno possibile. Così, riprendendo quell’idea che circolava in famiglia decisi di aprire un “bancariello” ( un banchetto) a Capri per vendere l’aria di Napoli. Poi la cosa si diffuse e, sempre con l’idea di lavorare poco, decisi di vendere i diritti. In quel periodo cominciai a collaborare con psichiatri del calibro di Sergio Piro e di Franco Basaglia, al quale va riconosciuto di essere riuscito, con la legge 180 del 1978, ad avviare una rivoluzione epocale per la malattia mentale. Quindi la mia professione per un periodo della mia vita ha camminato parallelamente alla mia “creattività”. In quel periodo, parliamo della fine degli anni 70, mi definivo un “mental- meccanico”. Da lì comincio a lavorare in Rai negli anni 80, prima alla radio con la trasmissione Al rogo, al rogo, poi in tv. Con il terremoto dell’Irpinia trasformo il programma in una trasmissione di servizio, grazie ai contatti con le radio locali, ma la cosa dà fastidio. Mi “convincono” a fare tv e parte Il pomeriggio di Radiodue. Era una trappola per farmi fuori, ma anche in questo caso mi vengono in aiuto le fake news, notizie dichiaratamente false che diventano vere. Punto sulla percezione che tutti hanno della napoletanità: geniale, furbo, pronto a trovare il mezzo per aggirare gli ostacoli. Rimetto in campo il “bancariello” con un’idea grottesca e surreale. Questa volta organizzo una raccolta firme, sull’onda radicale dell’epoca, per abrogare la Juventus dal campionato di calcio. Una messinscena perfetta realizzata con un gruppo di collaboratori psichiatri preparati a stimolare le persone, con tanto di notaio falso, il mio amico giornalista Franco Di Mare ( oggi conduttore diUnomattina n.d.r.), e una troupe televisiva vera con tanto di interviste sull’iniziativa. Anche questa volta è un successo e la notizia si diffonde a macchia d’olio, al punto che l’edizione napoletana di Paese Sera mette le nostre foto in prima pagina con l’effetto che le persone che avevano firmato da una decina di persone diventarono presto migliaia. Mi affretto a smentire la cosa e il giorno dopo pubblicano una pagina intera. E la Rai mi incarica di farne 15 puntate. “Vendo davanti al comune di Napoli la possibilità di chiamare i nascituri “avvocato” “ingegnere” e poi il gettone di ghiaccio per telefonare gratis, il disco orario che cammina ( realizzato davvero in Giappone qualche anno fa) e così via. Su tutto questo ho realizzato non solo dei servizi televisivi, ma anche una tesi di specializzazione. Alla caduta del muro di Berlino ho “venduto” anche le pietre false… 

In questi giorni Vittorio Sgarbi si è attribuito l’idea delle magliette con la cintura, riconoscendo a lei un ruolo secondario. Che c’è di vero?
Smentisco calorosamente e clamorosamente la notizia. Con Sgarbi ci siamo conosciuti nel ’ 91, due anni dopo la storia delle magliette brevettate da me. A lui l’idea era piaciuta moltissimo. Era stata costruita tenendo presente tutti gli ingredienti della napoletanità che potessero funzionare per “vendere” la notizia. Il set era a Castel dell’Ovo, con tanto di Vesuvio alle spalle, il motto era “Non stinge, non stringe, non serve, ma finge”. Come capita spesso a Napoli, si fece subito una folla di curiosi che misero in moto un passaparola eccezionale. Il giorno dopo l’edizione serale del Tg1 diede la notizia nei titoli di testa, poi arrivò a ruota il Corriere della Sera e tutti i giornali del mondo la ripresero. Era fatta. Avevo dimostrato ai miei colleghi psichiatri statunitensi la mia teoria: le notizie false si possono costruire a tavolino.

Il suo primo incontro con le fake- news risale a Mike Buongiorno: è così?
Sì. Era l’epoca di Rischiatutto e si diffuse la famosa frase «Lei mi casca sull’uccello…» che Mike Buongiorno avrebbe detto alla signora Longari. Frase mai pronunciata dal presentatore, ma vista la sua fama di gaffeur cominciò a diffondersi al punto che Renzo Arbore, che all’epoca facevaL’altra domenica, la inserì in una sua canzone. Una leggenda metropolitana che - mi raccontava mio padre - girava già da decenni all’Università, riferita alla battuta che faceva un professore di Veterinaria alle sue studentesse. La leggenda metropolitana della signora Longari prese piede al punto che lo stesso Aldo Grasso, fino al 2000, l’ha riportata nella sua enciclopedia della televisione, sostenendo si trattasse dell’uccello di Stravinskij. Io riuscii a contattare Mike Buongiorno, che all’epoca registrava Rischiatutto negli studi Rai di Napoli. A quel tempo stavo facendo una tesi sugli effetti placebo e sui sistemi di credenza implicati in questi meccanismi. Mike si sentì molto glorificato da una tesi di laurea che in qualche modo lo riguardava e mi rivelò, come poi ho verificato rivedendo i filmati, che quella frase non era mai stata pronunciata. Il presentatore aggiunse che “siccome la trasmissione era registrata si poteva tranquillamente togliere e poi la signora Longari si presentava sulla storia romana”, quindi le domande non avrebbero potuto avere niente a che fare con l’ornitologia o la musica. Ma la signora Longari per tutti è caduta sull’uccello.

Quell’episodio fu una svolta per lei.
Cominciai a studiare il meccanismo non tanto per capire perché questa notizia era partita ma, soprattutto, che cosa aveva di particolare da riuscire a reclutare tanti spontanei testimoni falsi. Qual era il vantaggio? Volevo studiarla dal punto di vista medico per scoprirne il “tasso di credibilità”, capire per quali ragioni si potesse trasformare una notizia da falsa a vera. Era importante nella finanza, nella politica, ma anche nel marketing.

Nei programmi televisivi ci sono stati tanti altri episodi?
Dire proprio di sì. Rimanendo sui programmi televisivi c’è la storiella di Piccoli fan, condotta da Sandra Milo. Secondo la leggenda durante la trasmissione tv una bambina avrebbe confessato che lei e il suo piccolo fidanzatino facevano le stesse cose che la sua mamma faceva con lo zio. Il format era francese e, guarda caso, anche Oltralpe girava la storiella di un episodio simile. Ed ancora la storia della Coca Cola che corrode una moneta o un chiodo in pochi giorni. Tutti ci hanno creduto, senza mai verificare. Al WWF fu attribuito il fatto che lanciava le vipere dagli elicotteri e anche in questo caso ho potuto verificare, essendo Fulco Pratesi, lo storico presidente del WWF, mio suocero, che non è mai successo nulla di simile. Primo perché le vipere sarebbero morte, poi perché non c’era alcun bisogno di far aumentare le vipere e infine il WWF non si poteva permettere elicotteri per farlo.

Quindi dottor Ciaravolo come nasce una fake-news?
Dobbiamo fare una distinzione fondamentale ed epocale. Prima di internet e dopo internet. Prima c’era una informazione orizzontale, senza censure, che va da persona a persona, e in alcuni casi è talmente ampia da arrivare anche ai media. A fianco a questa c’è un’informazione verticale, quella delle fonti autorevoli, che però quando prende un abbaglio può essere smentita dal giornale.
Nel caso del passaparola, invece, chi racconta la notizia e dice “l’ho sentito con le mie orecchie” non può fare marcia indietro, perché perderebbe la sua credibilità. Con internet siamo arrivati alla diffusione diagonale che assorbe in sé l’autorevolezza delle fonti e il passaparola. Nel senso che alcuni siti diventano attendibili, perché si diffonde l’opinione che danno quelle notizie tenute nascoste dai media tradizionali. Uno degli ultimi esempi è stata la foto dei politici che avrebbero presenziato ai funerali di Totò Riina. Una notizia facilmente verificabile, dal momento che quei funerali non sono stati mai celebrati. Eppure la foto dopo essere stata lanciata sui social è stata pubblicata dai giornali per smentirla, ma ha provocato l’effetto opposto. Pensi che ho fatto una trasmissione in radio Incredibile, ma falso e in 892 puntate ho raccolto una banca dati smisurata di leggende metropolitane. Ho dovuto sguarnire i miei siti ( bufale. it, legende. it) perché continuavano ad arrivarne.

Non se ne esce.
Purtroppo no. Proprio per i meccanismi dei quali parlavamo, se la notizia falsa viene confezionata bene è difficilmente smentibile. La storia delle magliette, per esempio, mi segue dall’ 89 e trovo sempre qualcuno che ha un parente che all’epoca le ha acquistate. Io più che di fake- news ormai parlerei di “fake- scoop”. Nel senso che più la notizia è clamorosamente falsa, appunto uno scoop, e più si diffonde in maniera virale. La “fake-scoop” risponde a un bisogno: le persone vogliono sapere ciò che desiderano. L’obiettivo dei “falsi scoppisti” non è quello di dare le notizia, ma di fare clamore. Siamo in piena bagarre elettorale e si va alla ricerca delle voci che si vogliono ascoltare. Una sorta di effetto placebo: pur sapendo che qualcosa è falso, mi viene il dubbio, ma la cosa mi fa stare tranquillo per un po’. Chi si fa un’idea andrà sempre a caccia delle conferme e poi le diffonderà. E in questo internet è una miniera e un propagatore eccezionale.

E questo vale anche per la politica.
Io vivo da decenni tra l’Italia e gli Stati Uniti e posso testimoniare che già all’epoca della campagna elettorale di Obama i duelli si svolgevano a colpi di fake- news per screditare l’avversario. Ora quasi tutti i giorni Trump usa Twitter per affermare che le notizie che lo riguardano sono false. Anche in Italia sta prendendo piede la cosa e con la campagna elettorale alle porte sarà un martellamento continuo. Non dimentichiamo però che una delle fake news politiche per antonomasia in voga negli anni 60 era quella che “i comunisti mangiavano i bambini”.

Quello era più che altro uno slogan in negativo oggi, invece, si punta alla distruzione degli avversari.
Purtroppo oggi l’elaborazione del pensiero politico è ridotto ai minimi termini. La politica è legata all’immagine dei suoi leader ed è quasi inevitabile che si tenti in tutti i modi di demolirli. Il voto delle persone non è più legato ai progetti, ma ai leader. Le persone vogliono notizie sul loro conto, non sulle loro idee. È evidente che l’elettorato grillino crede in quello che veicola quella parte politica, così come ci crede quello del Pd o del centrodestra. E chi veicola le fake news sui social non è il politico, ma il militante. Si prendono per buone le fake news della propria parte e le si trasformano in messaggio politico. La piazza virtuale è sempre stata populista, così come accadeva prima nei dibattiti da bar. I politici di oggi interpretano questo ruolo da ospiti di talk show, condito di battute e atteggiamenti aggressivi. La strategia di Beppe Grillo è perfettamente in linea: lui ridicolizza i suoi avversari politici. La cosa che fa sorridere, o meglio ancora ridere, è veloce come nessun’altra, non viene messa in dubbio. Grillo non punta tanto sulla critica politica, ma punta a ridicolizzare l’avversario. E questa cosa sortisce un effetto immediato nella piazza virtuale. Nelle persone scatta l’idea di voler salire sul carro di chi prende in giro e non su quello di chi è preso in giro. La politica dovrebbe riprendere il suo ruolo, indipendentemente dai personaggi che la rappresentano. I grandi partiti di massa e popolari avevano una loro vita autonoma, al di sopra e al di là dei vari leader.

Il Movimento5Stelle è nato su un “vaffa”.
Anche qui sono arrivato prima. Ho registrato nel 2000 il brand “vaffanculo.it. ”, con tanto di orologi. Il “Vaffaday” è del 2007. Ma a me va benissimo, è la conferma che è una cosa che funziona. Oggi sono diventato un “im- brand- itore” e ho lanciato negli Stati Uniti nel 2010, e registrato in tutto il mondo, nowork.com in progress, per chi vuole lavorare il meno possibile e noworkgeneration.com, dedicato ai figli di chi lavora tanto per stipendi da fame e che non vogliono ripercorrere le orme dei genitori

sabato 2 dicembre 2017

Ciravolo, invenore di "fake", racconta


    sabato 2 dicembre 2017

«Ho inventato la storia della finta cintura... Ecco come nascono le fake news»
PARLA LO PSICHIATRA CLAUDIO CIARAVOLO

FRANCO INSARDÀ
Le fake news per lui sono il pane quotidiano. Le pensa, le realizza, le diffonde e poi le smentisce. Si definisce psichiatra di nascita e napoletano di professione Claudio Ciaravolo è diventato famoso con la “bufala” delle magliette con la cintura di sicurezza vendute a Napoli e dice: «Ancora oggi molti pensano che la notizia sia vera». «Con internet più che di fake news parlerei di fake scoop, perché la balla più è grande e più si diffonde in maniera virale sui social», aggiunge.

PARLA CLAUDIO CIARAVOLO CHE SI DEFINISCE PSICHIATRA DI NASCITA E NAPOLETANO DI PROFESSIONE

«Mio nonno inventò l’aria io la finta cintura... Vi racconto la vera storia delle fake news
FRANCO INSARDÀ

«Vi ricordate le magliette con la cintura di sicurezza stampata sopra vendute a Napoli? Era il 1989 e, a distanza di 28 anni, molti sono ancora convinti che sulle bancarelle di Forcella e della Sanità se ne fossero vendute migliaia. Ebbene, di quelle magliette ne furono prodotte 100, tutte rigorosamente numerate come delle opere d’arte, che oggi sono in bella mostra in molti musei di arte contemporanea. Quello fu un esperimento, uno dei primi esempi di come una fake- news potesse fare il giro del mondo e rimanere impressa nell’immaginario collettivo per sempre». Il creatore di quelle magliette è Claudio Ciaravolo, 65enne psichiatra napoletano che ha iniziato a ideare, realizzare, diffondere fake news e loro derivati e a studiarne gli effetti e le reazioni sulle persone anche a distanza di tempo. Si definisce psichiatra di nascita e napoletano di professione, di religione catodica, creativo a tempo pieno, lavora poco e si diverte molto, viaggia tanto e naviga anche di più. Come psichiatra nel 1977 ha cominciato a utilizzare i messaggi subliminali con i suoi pazienti. Viene per questo considerato l’inventore della terapia subliminale. È stato autore radiofonico e televisivo di tanti programmi di successo. È stato un antesignano di internet con tantissimi siti registrati (www.magliettadisicurezza.it, www. ariadinapoli.it, www. maruzzella.it, www.s- mail.it, www.souvenair.it) Oggi, vista la sua esperienza nel settore, si definisce “legend buster”. Il suo motto è: “Escogito ergo sum”.
Dottor Ciaravolo, come nasce questa sua vocazione?
Da lontano. Tenga presente che ho avuto un illustre precursore, mio nonno Gennaro. Nell’immediato dopoguerra si inventò un prodotto sorprendente. Virtuale che più non si poteva, in un momento in cui le merci reali - a cominciare dal cibo - scarseggiavano: l’aria di Napoli. Le sue invenzioni in realtà furono due: oltre a inventare l’aria di Napoli, il nonno si inventò di averla venduta agli americani, che venivano considerati poco svegli, ma avevano i dollari, ed erano pronti a comprare qualsiasi cosa che potesse ricordare loro Napoli. Mio nonno raccontava che aveva accumulato le sue ricchezza in questo modo, ma non era vero ( viveva di rendita, non di vendita) e la gente ci credeva. E forse in tanti sarebbero stati pronti a comprarsela l’aria di Napoli, se davvero nonno Gennaro l’avesse messa in vendita.

Con questo avo così fantasioso, creatore antesignano di fake news, il passo è stato facile per lei.
Ero un brillante studente di medicina prima e di psichiatria poi e avevo come obiettivo quello di lavorare il meno possibile. Così, riprendendo quell’idea che circolava in famiglia decisi di aprire un “bancariello” ( un banchetto) a Capri per vendere l’aria di Napoli. Poi la cosa si diffuse e, sempre con l’idea di lavorare poco, decisi di vendere i diritti. In quel periodo cominciai a collaborare con psichiatri del calibro di Sergio Piro e di Franco Basaglia, al quale va riconosciuto di essere riuscito, con la legge 180 del 1978, ad avviare una rivoluzione epocale per la malattia mentale. Quindi la mia professione per un periodo della mia vita ha camminato parallelamente alla mia “creattività”. In quel periodo, parliamo della fine degli anni 70, mi definivo un “mental- meccanico”. Da lì comincio a lavorare in Rai negli anni 80, prima alla radio con la trasmissione Al rogo, al rogo, poi in tv. Con il terremoto dell’Irpinia trasformo il programma in una trasmissione di servizio, grazie ai contatti con le radio locali, ma la cosa dà fastidio. Mi “convincono” a fare tv e parte Il pomeriggio di Radiodue. Era una trappola per farmi fuori, ma anche in questo caso mi vengono in aiuto le fake news, notizie dichiaratamente false che diventano vere. Punto sulla percezione che tutti hanno della napoletanità: geniale, furbo, pronto a trovare il mezzo per aggirare gli ostacoli. Rimetto in campo il “bancariello” con un’idea grottesca e surreale. Questa volta organizzo una raccolta firme, sull’onda radicale dell’epoca, per abrogare la Juventus dal campionato di calcio. Una messinscena perfetta realizzata con un gruppo di collaboratori psichiatri preparati a stimolare le persone, con tanto di notaio falso, il mio amico giornalista Franco Di Mare ( oggi conduttore diUnomattina n.d.r.), e una troupe televisiva vera con tanto di interviste sull’iniziativa. Anche questa volta è un successo e la notizia si diffonde a macchia d’olio, al punto che l’edizione napoletana di Paese Sera mette le nostre foto in prima pagina con l’effetto che le persone che avevano firmato da una decina di persone diventarono presto migliaia. Mi affretto a smentire la cosa e il giorno dopo pubblicano una pagina intera. E la Rai mi incarica di farne 15 puntate. “Vendo davanti al comune di Napoli la possibilità di chiamare i nascituri “avvocato” “ingegnere” e poi il gettone di ghiaccio per telefonare gratis, il disco orario che cammina ( realizzato davvero in Giappone qualche anno fa) e così via. Su tutto questo ho realizzato non solo dei servizi televisivi, ma anche una tesi di specializzazione. Alla caduta del muro di Berlino ho “venduto” anche le pietre false… 

In questi giorni Vittorio Sgarbi si è attribuito l’idea delle magliette con la cintura, riconoscendo a lei un ruolo secondario. Che c’è di vero?
Smentisco calorosamente e clamorosamente la notizia. Con Sgarbi ci siamo conosciuti nel ’ 91, due anni dopo la storia delle magliette brevettate da me. A lui l’idea era piaciuta moltissimo. Era stata costruita tenendo presente tutti gli ingredienti della napoletanità che potessero funzionare per “vendere” la notizia. Il set era a Castel dell’Ovo, con tanto di Vesuvio alle spalle, il motto era “Non stinge, non stringe, non serve, ma finge”. Come capita spesso a Napoli, si fece subito una folla di curiosi che misero in moto un passaparola eccezionale. Il giorno dopo l’edizione serale del Tg1 diede la notizia nei titoli di testa, poi arrivò a ruota il Corriere della Sera e tutti i giornali del mondo la ripresero. Era fatta. Avevo dimostrato ai miei colleghi psichiatri statunitensi la mia teoria: le notizie false si possono costruire a tavolino.

Il suo primo incontro con le fake- news risale a Mike Buongiorno: è così?
Sì. Era l’epoca di Rischiatutto e si diffuse la famosa frase «Lei mi casca sull’uccello…» che Mike Buongiorno avrebbe detto alla signora Longari. Frase mai pronunciata dal presentatore, ma vista la sua fama di gaffeur cominciò a diffondersi al punto che Renzo Arbore, che all’epoca facevaL’altra domenica, la inserì in una sua canzone. Una leggenda metropolitana che - mi raccontava mio padre - girava già da decenni all’Università, riferita alla battuta che faceva un professore di Veterinaria alle sue studentesse. La leggenda metropolitana della signora Longari prese piede al punto che lo stesso Aldo Grasso, fino al 2000, l’ha riportata nella sua enciclopedia della televisione, sostenendo si trattasse dell’uccello di Stravinskij. Io riuscii a contattare Mike Buongiorno, che all’epoca registrava Rischiatutto negli studi Rai di Napoli. A quel tempo stavo facendo una tesi sugli effetti placebo e sui sistemi di credenza implicati in questi meccanismi. Mike si sentì molto glorificato da una tesi di laurea che in qualche modo lo riguardava e mi rivelò, come poi ho verificato rivedendo i filmati, che quella frase non era mai stata pronunciata. Il presentatore aggiunse che “siccome la trasmissione era registrata si poteva tranquillamente togliere e poi la signora Longari si presentava sulla storia romana”, quindi le domande non avrebbero potuto avere niente a che fare con l’ornitologia o la musica. Ma la signora Longari per tutti è caduta sull’uccello.

Quell’episodio fu una svolta per lei.
Cominciai a studiare il meccanismo non tanto per capire perché questa notizia era partita ma, soprattutto, che cosa aveva di particolare da riuscire a reclutare tanti spontanei testimoni falsi. Qual era il vantaggio? Volevo studiarla dal punto di vista medico per scoprirne il “tasso di credibilità”, capire per quali ragioni si potesse trasformare una notizia da falsa a vera. Era importante nella finanza, nella politica, ma anche nel marketing.

Nei programmi televisivi ci sono stati tanti altri episodi?
Dire proprio di sì. Rimanendo sui programmi televisivi c’è la storiella di Piccoli fan, condotta da Sandra Milo. Secondo la leggenda durante la trasmissione tv una bambina avrebbe confessato che lei e il suo piccolo fidanzatino facevano le stesse cose che la sua mamma faceva con lo zio. Il format era francese e, guarda caso, anche Oltralpe girava la storiella di un episodio simile. Ed ancora la storia della Coca Cola che corrode una moneta o un chiodo in pochi giorni. Tutti ci hanno creduto, senza mai verificare. Al WWF fu attribuito il fatto che lanciava le vipere dagli elicotteri e anche in questo caso ho potuto verificare, essendo Fulco Pratesi, lo storico presidente del WWF, mio suocero, che non è mai successo nulla di simile. Primo perché le vipere sarebbero morte, poi perché non c’era alcun bisogno di far aumentare le vipere e infine il WWF non si poteva permettere elicotteri per farlo.

Quindi dottor Ciaravolo come nasce una fake-news?
Dobbiamo fare una distinzione fondamentale ed epocale. Prima di internet e dopo internet. Prima c’era una informazione orizzontale, senza censure, che va da persona a persona, e in alcuni casi è talmente ampia da arrivare anche ai media. A fianco a questa c’è un’informazione verticale, quella delle fonti autorevoli, che però quando prende un abbaglio può essere smentita dal giornale.
Nel caso del passaparola, invece, chi racconta la notizia e dice “l’ho sentito con le mie orecchie” non può fare marcia indietro, perché perderebbe la sua credibilità. Con internet siamo arrivati alla diffusione diagonale che assorbe in sé l’autorevolezza delle fonti e il passaparola. Nel senso che alcuni siti diventano attendibili, perché si diffonde l’opinione che danno quelle notizie tenute nascoste dai media tradizionali. Uno degli ultimi esempi è stata la foto dei politici che avrebbero presenziato ai funerali di Totò Riina. Una notizia facilmente verificabile, dal momento che quei funerali non sono stati mai celebrati. Eppure la foto dopo essere stata lanciata sui social è stata pubblicata dai giornali per smentirla, ma ha provocato l’effetto opposto. Pensi che ho fatto una trasmissione in radio Incredibile, ma falso e in 892 puntate ho raccolto una banca dati smisurata di leggende metropolitane. Ho dovuto sguarnire i miei siti ( bufale. it, legende. it) perché continuavano ad arrivarne.

Non se ne esce.
Purtroppo no. Proprio per i meccanismi dei quali parlavamo, se la notizia falsa viene confezionata bene è difficilmente smentibile. La storia delle magliette, per esempio, mi segue dall’ 89 e trovo sempre qualcuno che ha un parente che all’epoca le ha acquistate. Io più che di fake- news ormai parlerei di “fake- scoop”. Nel senso che più la notizia è clamorosamente falsa, appunto uno scoop, e più si diffonde in maniera virale. La “fake-scoop” risponde a un bisogno: le persone vogliono sapere ciò che desiderano. L’obiettivo dei “falsi scoppisti” non è quello di dare le notizia, ma di fare clamore. Siamo in piena bagarre elettorale e si va alla ricerca delle voci che si vogliono ascoltare. Una sorta di effetto placebo: pur sapendo che qualcosa è falso, mi viene il dubbio, ma la cosa mi fa stare tranquillo per un po’. Chi si fa un’idea andrà sempre a caccia delle conferme e poi le diffonderà. E in questo internet è una miniera e un propagatore eccezionale.

E questo vale anche per la politica.
Io vivo da decenni tra l’Italia e gli Stati Uniti e posso testimoniare che già all’epoca della campagna elettorale di Obama i duelli si svolgevano a colpi di fake- news per screditare l’avversario. Ora quasi tutti i giorni Trump usa Twitter per affermare che le notizie che lo riguardano sono false. Anche in Italia sta prendendo piede la cosa e con la campagna elettorale alle porte sarà un martellamento continuo. Non dimentichiamo però che una delle fake news politiche per antonomasia in voga negli anni 60 era quella che “i comunisti mangiavano i bambini”.

Quello era più che altro uno slogan in negativo oggi, invece, si punta alla distruzione degli avversari.
Purtroppo oggi l’elaborazione del pensiero politico è ridotto ai minimi termini. La politica è legata all’immagine dei suoi leader ed è quasi inevitabile che si tenti in tutti i modi di demolirli. Il voto delle persone non è più legato ai progetti, ma ai leader. Le persone vogliono notizie sul loro conto, non sulle loro idee. È evidente che l’elettorato grillino crede in quello che veicola quella parte politica, così come ci crede quello del Pd o del centrodestra. E chi veicola le fake news sui social non è il politico, ma il militante. Si prendono per buone le fake news della propria parte e le si trasformano in messaggio politico. La piazza virtuale è sempre stata populista, così come accadeva prima nei dibattiti da bar. I politici di oggi interpretano questo ruolo da ospiti di talk show, condito di battute e atteggiamenti aggressivi. La strategia di Beppe Grillo è perfettamente in linea: lui ridicolizza i suoi avversari politici. La cosa che fa sorridere, o meglio ancora ridere, è veloce come nessun’altra, non viene messa in dubbio. Grillo non punta tanto sulla critica politica, ma punta a ridicolizzare l’avversario. E questa cosa sortisce un effetto immediato nella piazza virtuale. Nelle persone scatta l’idea di voler salire sul carro di chi prende in giro e non su quello di chi è preso in giro. La politica dovrebbe riprendere il suo ruolo, indipendentemente dai personaggi che la rappresentano. I grandi partiti di massa e popolari avevano una loro vita autonoma, al di sopra e al di là dei vari leader.

Il Movimento5Stelle è nato su un “vaffa”.
Anche qui sono arrivato prima. Ho registrato nel 2000 il brand “vaffanculo.it. ”, con tanto di orologi. Il “Vaffaday” è del 2007. Ma a me va benissimo, è la conferma che è una cosa che funziona. Oggi sono diventato un “im- brand- itore” e ho lanciato negli Stati Uniti nel 2010, e registrato in tutto il mondo, nowork.com in progress, per chi vuole lavorare il meno possibile e noworkgeneration.com, dedicato ai figli di chi lavora tanto per stipendi da fame e che non vogliono ripercorrere le orme dei genitori

martedì 28 novembre 2017

Macaluso sull'Autonomia siciliana



IL CORSIVO
Se la situazione è pessima non si può che essere pessimisti
Sono stato in Sicilia, nella mia città – Caltanissetta – dove il sindaco ha promosso un convegno di studi sullo Statuto speciale della Regione siciliana e sul ruolo che Giuseppe Alessi, un cattolico antifascista, sturziano, tra i fondatori della DC e primo presidente della stessa Regione, ebbe per la sua approvazione. Non faccio qui un resoconto del convegno al quale hanno contribuito valorosi studiosi, tra cui il professore Sabino Cassese. Nel nostro convegno inevitabilmente è stato richiamato il ruolo che in quella fase ebbero - non solo quello essenziale di Alessi - ma tante personalità che si impegnarono sul fronte dell’autonomia e del riscatto della Sicilia. Io, tra l’altro, ho ricordato ciò che fece Girolamo Li Causi, segretario del Pci siciliano, intellettuale e profondo conoscitore della storia della Sicilia il quale aveva scontato 15 anni di carcere e di confino e partecipato alla prima fase della Resistenza. In quell’occasione, Alessi si scontrò anche con De Gasperi mostrando che la politica non è ubbidienza ai capi ma scelta di idee e valori. Ma fare l’elenco delle personalità che, prima e dopo le elezioni regionali del 1947, si impegnarono nell’agone politico, dentro la Dc, il Pci, il Psi, ma anche nella destra, non è possibile ovviamente farlo in questa nota. Voglio dire che fu molto vasto. Ciò non significa che non ci furono scontri politici e sociali molto forti. Come è noto, nel marzo del 1947 Pci e Psi furono esclusi dal governo e si preannunciava il clima politico che si respirò prima e dopo le elezioni del 1948. Il 1 maggio del 1947 ci fu la strage di Portella e si verificò il primo grande scontro tra Li Causi e Mariano Scelba, ministro dell’Interno. Tuttavia, ecco il punto da sottolineare, Palmiro Togliatti alla Costituente operò con saggezza e determinazione per portare a compimento, in maniera unitaria, la Carta costituzionale. E lo stesso fecero gran parte dei costituenti della Dc, del Psi e i liberali. In Sicilia, Alessi presidente della Regione e Li Causi presidente del Comitato siciliano che trattava a Roma la “costituzionalizzazione” operarono per fare prevalere la comune volontà politica di dare forza e sostanza all’Autonomia siciliana. Se penso a quegli anni e alla miseria e squallore politico di oggi c’è veramente da temere per il futuro della Sicilia e dell’Italia. Basta volgere lo sguardo a cosa sono state le ultime elezioni siciliane e a parte rilevante degli eletti. Quando a Leonardo Sciascia rimproveravano di essere pessimista rispondeva: «Se la situazione è pessima non si può che essere pessimisti». Oggi più di ieri.


domenica 26 novembre 2017

PAPA FRANCESCO SUI MIGRANTI: vox clamantis in deserto

PAPA FRANCESCO SUI MIGRANTI: vox clamantis in deserto

QUELLO CHE PENSA BERGOGLIO SUI MIGRANTI E QUELLO CHE PENSANO MOLTI DEI CATTOLICI ITALIANI. TROPPI.

L’Italia è un Paese cattolico e di cattolici; per essere più precisi: a stragrande maggioranza cattolica.
Armi levate per sostenere l’identità cristiana dell’Europa e l’identità cattolica dell’Italia; e petti in fuori per difendere i simboli del cattolicesimo (vorrei dire nostri perché sono anche miei, ma non voglio creare confusione); chiedere a voce alta affinché questi simboli  stiano affissi alle pareti dei luoghi pubblici contro laici, agnostici e infedeli che li vogliono togliere perché empi e iconoclasti. Cattolici che più cattolici non si può, gl’Italiani.
E il papa, il romano pontefice, il successore di Pietro cos’è veramente per queste masse cattoliche? Perché la stragrande maggioranza di loro tiene in non cale le sue parole?

Bergoglio per i laici e per il mondo, ma  Papa Francesco, più propriamente per costoro, nel messaggio per la Giornata Mondiale della Pace che sarà celebrata il prossimo 1° gennaio e che è stato reso pubblico il 24 scorso, ha ricordato che il Signore “protegge lo straniero, egli sostiene l’orfano e la vedova’'; non se l’è inventata lui questa caratteristica dell’Eterno: egli ha letteralmente riportato il Salmo 146:9, ma ha opportunamente evitato di riferire anche la conclusione: “ma [l'Eterno] sovverte la via degli empi”.
Ha così denunciato che “In molti Paesi di destinazione si è largamente diffusa una retorica che enfatizza i rischi per la sicurezza nazionale o l’onere dell’accoglienza dei nuovi arrivati, disprezzando così la dignità umana che si deve riconoscere a tutti, in quanto figli e figlie di Dio”. Lo voglio ripetere: “si è largamente diffusa una retorica che enfatizza i rischi per la sicurezza nazionale o l’onere dell’accoglienza dei nuovi arrivati, disprezzando così la dignità umana che si deve riconoscere a tutti, in quanto figli e figlie di Dio”.
Ha dunque  aggiunto “Con spirito di misericordia abbracciamo tutti coloro che fuggono dalla guerra e dalla fame o che sono costretti a lasciare le loro terre a causa di discriminazioni, persecuzioni, povertà e degrado ambientale. Voglio ancora una volta ricordare gli oltre 250 milioni di migranti nel mondo, dei quali 22 milioni e mezzo sono rifugiati. Questi ultimi, come affermò il mio amato predecessore Benedetto XVI, ‘ sono uomini e donne, bambini, giovani e anziani che cercano un luogo dove vivere in pace’. Per trovarlo, molti di loro sono disposti a rischiare la vita in un viaggio che in gran parte dei casi è lungo e pericoloso, a subire fatiche e sofferenze, ad affrontare reticolati e muri innalzati per tenerli lontani dalla meta”

Mi chiedo: se tutto questo non è che sollecitazione ed esortazione, mero auspicio  per il mondo intero e  per chiunque, per chi crede e per chi non crede,ma non è, non dovrebbe essere, invece, per i cattolici e quelli che credono d’esserlo e lo proclamano,  imperativo categorico, morale, etico, da predicare e da praticare nel loro quotidiano?
Fatti loro, in realtà. A me, che importa? Niente: rilevo l’incongruenza e la contraddizione e mi dispiaccio di non avere dalla mia parte, in difesa del forestiero, dell’orfano e della vedova, quelli che pensavo avrebbero dovuto esserci, e prima e davanti a me.


Umanità Nova, 23 settembre 2018