UN VECCHIO ARTICOLO DI STEFANO DI MICHELE
C’erano una volta i nemici della mafia Erano garantisti
Furono uccisi
Questo è un articolo scritto da Stefano Di Michele, qualche
anno fa, sul Foglio. Racconta molto bene come il Pci, nel momento massimo dello
scontro politico con la Dc, non usò mai come avviene adesso - l’antimafia come
una clava. Lo ripubblichiamo.
STEFANO DI MICHELE
Dice Rosy Bindi che trattasi di servizio pubblico per i
cittadini – “noi li abbiamo informati”, e certo grato il pensiero dell’elettore
corre all’Antimafia, e forse al vigile meneghino di Totò e Peppino, “per andare
dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare? ” – e adesso gli svergognati
sono così sistemati. Seduto in poltrona, Emanuele Macaluso stringe tra le mani
un libretto bianco. Sbuffa, s’indigna, sfoglia qualche pagina. “Io non me la
piglio con i giornali, nemmeno col Fatto, fanno il loro mestiere. Poi il popolo
sceglie… ”. Ma la commissione, ecco, la commissione… Il libro che Macaluso sta
( ri) leggendo lo ha scritto molti annifa un grande predecessore della Bindi,
il comunista Gerardo Chiaromonte. Si intitola “ I miei anni all’Antimafia,
1988- 1992”,
prefazione di Giorgio Napolitano. E dalle pagine di quelle
antiche memorie, saltano fuori un paio di faccende piuttosto istruttive,
proprio rispetto alla scelta che si è compiuta in queste ore.
Ma prima un’altra storia – che la storia di oggi evoca.
Prima di Chiaromonte, anni Settanta. Quando il tribunale di Torino chiese
all’Antimafia le schede su Giovanni Gioia, potente democristiano siciliano,
ministro fanfaniano. A opporsi, a negare con forza quelle schede con la sua
relazione, fu il membro della commissione Cesare Terranova ( magistrato,
deputato indipendente eletto nelle liste del Pci, ammazzato dalla mafia insieme
al maresciallo Mancuso appena tornato in magistratura, nel 1979). I giudici si
rivolsero alla Corte costituzionale, la quale diede loro torto.
Ma torniamo al libro di Chiaromonte. C’è scritto: “La prima
grana che mi trovai ad affrontare fu quella della pubblicazione o meno delle
schede nominative…”. Cos’erano queste schede nominative lo spiega adesso il suo
amico Macaluso: “La commissione esiste dal ’ 63. Nei decenni si sono
ammucchiati rapporti, relazioni di marescialli, di poliziotti, pure e semplici
delazioni e lettere anonime… Tutti rapporti senza contraddittorio”. Cominciò la
solita campagna di stampa, al grido: “La santabarbara deve esplodere! ”, (
soprattutto da parte di Michele Pantaleone, sulle colonne della Stampa) .
Annotava Chiaromonte: “Anche nel mio partito l’opinione assolutamente
prevalente fu quella della pubblicazione. Solo Emanuele Macaluso, vecchio conoscitore
della Sicilia e della mafia, scrisse alcuni articoli a difesa dei diritti
elementari di tutti i cittadini”. Ricorda Macaluso: “La piaga giustizialista
non nasce nel ’ 92, ma prima. La verità è che si era aperta nel Pci una
battaglia. Alcuni insinuavano che io facessi quella campagna contro la
pubblicazione perché c’era qualche scheda che mi riguardava…”. Chiaromonte era
contrario, i partiti in commissione favorevoli – da Violante a Vitalone, “e a
questa cosa si piegò pure il mio amico Giacomo Mancini”. Chiaromonte dovette
cedere, “lo criticai, gli dissi: avresti dovuto dimetterti”, così le schede
furono pubblicate. Ma nessuna santabarbara saltò: molte velenose insinuazioni,
invece, persino su personaggi come Li Causi e La Torre, addirittura sullo stesso
Pantaleone.
“In una vecchia scheda un ufficiale dei carabinieri avanzava
il sospetto che fosse figlio di Calogero Vizzini, il capomafia. Pantaleone
quasi impazzì. Lo trovai un giorno davanti alla Camera che distribuiva
volantini per smentire la cosa. Gli dissi: adesso che cavolo vuoi, hai
cominciato tu! ”.
Sorride, al ricordo, Macaluso: “L’unico su cui non c’era
mezza insinuazione in quelle schede ero io, proprio io che ero stato
pubblicamente indicato come quello che più le temeva”. E che c’entra la Bindi?
E’ un’altra cosa. Macaluso scuote la testa, sfoglia le pagine. “Ecco, ecco…”.
E’ la relazione di minoranza dell’Antimafia del 1976. Porta le firme di Cesare
Terranova e di Pio La Torre ( deputato comunista, segretario regionale del Pci,
ucciso dalla mafia insieme al suo autista nel 1982, tre anni dopo Terranova). E
questo scriveva La Torre, in quella relazione di quarant’anni fa: “Noi il
discorso sulla ‘ santabarbara’ dell’attuale inchiesta, che avrebbe dovuto far
saltare per aria mezzo Parlamento, non l’abbiamo mai condiviso (…). Il nostro
compito non è questo. E’ invece quello di fornire al governo e al Parlamento
uno spaccato della situazione, una serie precisa di indicazioni per realizzare
le riforme economiche, sociali e politiche in senso non mafioso”. E aggiungeva
il deputato del Pci considerazioni illuminanti pure per i nostri giorni: “Siamo
contrari all’equivoco che si è ingenerato: che cioè la commissione parlamentare
fosse una specie di ‘ giustiziere del Re’, una sorta di comitato di salute
pubblica destinato a far cadere testa su testa”. Così parlò, un nemico vero e
vittima reale della mafia. “Terranova e La Torre – rievoca Macaluso – gente che
ha lasciato la vita nella battaglia contro la mafia. E lo stesso sapevano
definire i compiti della commissione, dicevano che non spettava a essa far
cadere testa su testa. Adesso, non si sta procedendo forse testa su testa? I
giornali lo possono fare, ma se sei un’istituzione dello stato, come puoi
farlo? Non hanno forse rifatto loro le schede, andando a raccattare cose dai
casellari giudiziari? ”. Tre uomini di sinistra – Chiaromonte, Terranova e La
Torre – che combatterono davvero la mafia. Due fino a morirne ammazzati. Ma
senza mai permettere che una tragedia si mutasse in spettacolo.
ERANO COMUNISTI MA NON GIUSTIZIERI. LA TORRE E TERRANOVA CI
LASCIARONO LA PELLE. CHIAROMONTE E MACALUSO ERANO CON LORO. CONSIDERAVANO
L’ANTIMAFIA UNA COSA SERIA, NON UNA CLAVA
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